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Capitolo XLVI

AFFIDARSI A DIO QUANDO SPUNTANO PAROLE CHE FERISCONO

  1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più importanza di quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza? Ti potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di interiorità e non tiene Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà libero dal timore degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
  2. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio, invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato, "qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero; così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana. Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano, passa degno di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal 7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza. Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare", non potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal 142,2).

Capitolo XLVII

OGNI COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA, PER CONSEGUIRE LA VITA ETERNA

  1. O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti che ti sei assunto per amor mio; non lasciarti mai abbattere dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti dia, invece, forza e consolazione la mia promessa; ché io ben so ripagare al di là di qualsiasi limite e misura. Non durerà a lungo la tua sofferenza quaggiù; non continuerà per sempre il peso dei tuoi dolori. Attendi un poco, e li vedrai finire d'un tratto, questi dolori; verrà il momento in cui fatiche ed agitazioni cesseranno. E' poca cosa, e dura poco, tutto ciò che passa con questa vita. Fa quel che devi; lavora fedelmente nella mia vigna: io stesso sarò la tua ricompensa. Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le avversità: premio a tutto questo, alle più grandi lotte, è la vita eterna. Sarà pace, in quell'ora che sa il Signore. E non ci sarà giorno e notte, come adesso, ma perpetua luce, chiarità infinita, pace ferma e sicura tranquillità. Allora non dirai: "chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24); e non esclamerai "ohimé!, quanto si prolunga questo mio stare quaggiù" (Sal 119,5). Ché la morte sarà annientata e vi sarà piena salvezza, senza ombra di angustia; e, intorno a te, una gioia beata, una soave schiera gloriosa.
  2. Oh!, se tu vedessi il premio eterno che ricevono i santi in cielo; se tu vedessi di quanta gloria esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti spregevoli e quasi immeritevoli di vivere, per certo, ti getteresti subito a terra, preferendo essere inferiore a tutti, piuttosto che eccellere anche su di un solo; non desidereresti giorni lieti in questa vita, godendo piuttosto delle tribolazioni sopportate per amore di Dio,; infine crederesti che il guadagno più grande consiste nell'essere considerato un nulla tra gli uomini. Oh!, se queste cose avessero un gusto per te e ti scendessero nel profondo del cuore, come oseresti fare anche il più piccolo lamento? Forse che, per la vita eterna, non si deve sopportare ogni tribolazione? Non è cosa di poco conto, perdere o guadagnare il regno di Dio. Alza, dunque, il tuo sguardo al cielo: eccomi, insieme a tutti i miei santi, i quali sopportano grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi sono nella gioia, ricevono consolazione, stanno nella serenità, nella pace e nel riposo. E resteranno con me nel regno del Padre mio, per sempre.

Capitolo XLVIII

LA VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE

  1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.
  2. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.

Capitolo XLIX

IL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA. I GRANDI BENI PROMESSI A QUELLI CHE LOTTANO

  1. Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine; quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà, che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti alle lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi con volonteroso fervore.
  2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la gloria di Dio. Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo. Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io "aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in silenzio.
  3. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso. Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare; specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai, tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece, non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la vita e per la morte" (Fil 1,20).

Capitolo L

CHI E' NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO

  1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.
  2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.
  3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di più.