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            Rendimi la gioia di essere salvato: Io ti chiedo perdono : SAL 51 (50)

 

1. Introduzione

            Il sal 50 che abbiamo ha numerosi legami con il successivo sal 51 che ora ci accingiamo a leggere. Tutto quello che Iahvè ordina nel sal 50 viene completato dall'orante nella rielaborazione del sal 51. I due salmi, che prima erano forse autonomi, sono stati poi uniti per costituire due parti di una liturgia penitenziale, uniti per la loro parentela tematica e per l'uso combinato nella liturgia.

            Il salmo è attribuito a Davide, quando il profeta Natan andò a visitarlo per rinfacciargli il duplice delitto nei riguardi del suo generale Uria, marito di Betsabea (cf. 2 Sam 12), l'adulterio e l'omicidio.

            La preghiera dei due ultimi versetti per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme è un'aggiunta liturgica posteriore del tempo dell'esilio.

            Ma come poteva Davide dire di aver peccato solo contro Dio dopo il suo duplice delitto anche contro un uomo e una donna?

            Per chi accetta anche il valore storico del titolo l'occasione del salmo è data dal pentimento e dal rimorso del peccato provocato in Davide dalle parole del profeta Natan.

            Il Miserere, il primo e il principale dei salmi penitenziali, è il salmo dei secoli. Generazioni e generazioni di persone ne hanno fatto lo strumento per trasmettere a Dio il loro dolore e il loro pentimento. Quante volte è stato recitato tra gemiti e lacrime e ha raccolto la prima espressione di conversioni clamorose o nascoste, segnando l'inizio di mutamenti di vita che non raramente hanno condotto fino alla santità. Colui che, alla luce di Dio, getta uno sguardo nell'abisso del proprio peccato sente fiorire spontaneamente sulle labbra quelle parole d'inizio: "Pietà di me, o Dio!" e nel percorrere il salmo fino al termine sente di dare, con quelle parole, espressione adeguata ai propri sentimenti e liberarsi a mano a mano che procede dall'incubo del peccato. Adeguatezza d'espressione religiosa in forma sentita e letterariamente perfetta. Il segreto è che questo salmo è sgorgato dall'animo di un poeta profondamente religioso in un momento in cui, ancora cieco di passione e bruciante di peccato, una voce zampillante da profondità divine gli aveva rinfacciato e l'una l'altro come un delitto urlante contro di lui al cospetto di Dio. Richiamato da quella voce, a giudicare di un delitto simile al suo aveva emesso la sentenza: costui è degno di morte! Per scoprire con terrore, in quell'attimo, che quella sentenza era caduta su di sé! Barcollante sotto il colpo ricevuto, come folgorato da un fulmine improvviso non aveva saputo lanciare altro grido se non la confessione del proprio peccato: "Ho peccato contro Dio!". Trovatosi solo a tu per tu con quel Dio, che tanto lo aveva beneficato con doni e privilegi straordinari, nel timore di esserselo fatto nemico, di averne scatenato su di sé l'ira, il castigo e il ripudio, come era avvenuto del suo antecessore, nel dolore di averne offesa la bontà, e di aver tradito gli impegni solennemente assunti (2 Sam 7), con cuore rotto e animo avvilito aveva arginato la giustizia divina con la divina misericordia, lavando la sua colpa nell'onda della confessione. Un'anima profondamente religiosa e vibrante per viva emozione improvvisa, unita a una tempra d'artista hanno collaborato a produrre questo capolavoro di letteratura religiosa.

 

2. Messaggio esegetico-spirituale

L'intensità e la sincerità dell'accento dell'invocazione è già tutta in quel primo grido dell'anima: "Pietà di me, o Dio".

            E' la necessità impellente che sente il salmista. Trattenere l'ira di Dio prima che si scateni furiosamente. Perciò premette l'invocazione di grazia al nome di Dio, e poi aggiunge su che cosa fonda la sua richiesta: sulla misericordia di Dio. Per la gravità della sua colpa però la misericordia di Dio gli sembra insufficiente, e in un crescendo meraviglioso il salmista s'appella alla grandezza, alla costanza della compassione divina per ottenere la purificazione delle proprie colpe.

            Prima condizione per ricevere il perdono è confessare il proprio peccato.

            Richiamato alla realtà dalla voce del profeta (nel caso di Davide), presentatosi a nome di Dio, il peccatore si è piegato su di sé; la luce della grazia ha rotto le tenebre della passione. Non può più nasconderla a se stesso, il salmista l'ha sempre davanti. Ad aggravare la colpa sorge ora il pensiero di chi è stato offeso, ha offeso il Dio della giustizia; e il tradimento, prima di fare delle vittime mancando alla fede umana, aveva tradito la fedeltà divina. Con Dio aveva assunto i suoi impegni, a lui doveva riconoscenza e servizio costante e devoto. Perciò confessa: "contro te solo ho peccato, e proprio al tuo cospetto ho osato compiere il male. Ed ecco ora il risultato del mio operare: pronunciando tu la tua sentenza contro di me, io non posso infirmarla, e tacciarti di ingiusto, e, sedendo tu a giudizio, riluce la tua integrità (Cf. Gb 40, 6). Il salmista ha aperto la sua coscienza; in sincerità vi ha guardato dentro; non ha nascosto il suo male: lo ha dichiarato a Dio riconoscendosi colpevole. E' reo confesso (vv. 5-6).

            Ad alleviare però la sua colpa egli può addurre almeno qualche scusa. Ha peccato, ma perché è uomo e incline al male dalla natura. Il padre e la madre erano anch'essi creature labili e facili al male; di una creta impura, da cui non si può ricavare alcunché di perfetto.

Preparato il terreno con la confessione e la scusa, può venire ora la preghiera per chiedere a Dio quello che ha già invocato nel primo grido d'inizio: la purificazione dalla colpa.

            Servendosi delle cerimonie del rituale chiede una purificazione energica come quella usata in caso di lebbra: Aspergimi con issopo e diventerò puro; lavami con l'acqua lustrale e fosse anche il mio peccato rosso scarlatto, diventerò più candido della neve. Solo Dio ha questo potere di ridonare il candore alla macchia di sangue: i mezzi umani sono assolutamente impotenti.

            Purificazione e mondezza vuol dire perdono e restituzione della benevolenza divina, vuol dire il ritorno della serenità, del gaudio e della letizia; vuol dire esultanza dello spirito che era abbattuto, e il rifluire della vita nelle ossa che la sentenza divina di condanna aveva fiaccate.

            Che Dio non guardi più da giudice i peccati, che lasci di punirli, che li cancelli. Il peccato commesso lascia delle tracce, mette nell'anima qualcosa che, aderendo, le toglie quella trasparenza che la fa grata e quella fiducia che conferisce il senso della protezione divina. Ora di questa mondezza integrale, senza ombre, di codesta possibilità di appoggiarsi a Dio e di sentirlo ancora ugualmente ben disposto ha bisogno il salmista e implora Dio a far sussistere in lui, a creare/bara', un cuore mondo, un cuore puro, a rifargli, in una parola, quella purezza posseduta prima della colpa. E’ il senso del'indulgenza plenaria. E' questo il sospiro di ogni anima penitente, brama di tornare allo stato di innocenza! Crei dunque Iddio nel salmista un nuovo cuore che non porti in sé l'offuscamento del peccato. E per evitare in futuro una simile disavventura, voglia mettere in lui un nuovo spirito più saldo, più fermo, più costante del primo affinché, aiutato dall'amara esperienza del peccato per non aver mai più a rinnovare l'offesa di Dio! Un cuore puro e uno spirito saldo erano invece la garanzia continuata di tali beni. Per le promesse nei profeti, cf. anche Ger 24, 7; 31, 33; 32, 29 (gli effetti del Nuovo Patto); Ez 11, 19; 18, 31; 36, 26.

            Dio faccia sentire al salmista la letizia del suo perdono completo, che significa salvezza assoluta, e voglia mettere in lui quella buona disposizione fondamentale che costantemente gli dia prontezza nel servizio divino. Questo spirito volenteroso lo aiuti e lo sostenga quotidianamente in una piena adesione alle vie del Signore (vv. 9-14).

            Per tanta grazia e misericordia divina, oltre a una scrupolosa correttezza di vita, il salmista offre a Dio un contraccambio, e anche lui, come in genere le lamentazioni, chiude la sua preghiera con una promessa.

La prima promessa è quella che parte dal cuore lieto per la grazia ricevuta o sperata: dare di essa notizia a quanti più può: è il canto di lode o della riconoscenza (v. 15-17; cf. sal 22, 23-24).

            Compie cosa graditissima a Dio e coopera all'aumento della sua gloria esterna e del suo regno, moltiplicandone i servi fedeli mediante la conversione dei peccatori. Che efficacia avrà la sua parola quando loro dirà: anch'io ho fatto la vostra esperienza e vi posso dire che è assai meglio tornare a Dio, alle sue dottrine, al suo servizio. Poi, variando appena il suo tema, ma prevedendo la inefficacia della sua parola qualora egli fosse tuttora sotto la responsabilità e la maledizione attiratasi con il suo delitto di sangue, continua: Liberami da questo peso del sangue e allora la mia lingua potrà celebrare la tua giustizia.

            Ben altro sarebbe disposto ad offrire il peccatore pentito: vittime, sacrifici, olocausti (seconda promessa). Ma egli sa che nel caso suo potrebbero dare l'impressione che con esse il salmista creda di pagare tutto il suo debito e sciogliersi da ogni impegno con Dio. Il salmista ci tiene troppo alla sincerità del suo dolore e del suo pentimento, è troppo preoccupato di dimostrare a Dio che il suo delitto gli sta sempre davanti ad ammonirlo e a conferirgli costanza nei nuovi propositi, perciò non si cura di comprare e offrire delle vittime, azione esterna e passeggera (vv. 15-19).

            Trovandosi la nazione nel dolore dell'esilio, sotto l'incubo della maledizione divina, senza altare e senza sacrificio, il salmista chiede a Dio di intervenire. Ricostituita la nazione, ricostruito il tempio, rafforzate la mura, sarebbero tornati possibili i sacrifici d'un tempo, le vittime pingui e immacolate, vittime pacifiche e olocausti, avrebbero potuto nuovamente essere offerte sull'altare, facendo salire al cielo un profumo che Iahvè avrebbe certamente gradito.

            Così termina uno dei più bei salmi. Ciò che lo innalza, religiosamente, al disopra di tanti altri salmi è il senso morale del peccato che l'avvicina alla religiosità del NT per cui nulla vi è da correggere e nulla da aggiungere. Per questo il "Miserere" conserva attraverso i secoli la sua freschezza e la sua attrattiva e ogni anima umana che giunga alla detestazione delle proprie colpe, lo ripeterà sempre con commozione tutta spirituale (vv. 20-21).

 

3. Lettura cristiana

            Il sal 51 è stato sempre l'espressione del senso del peccato nella fede giudaica lungo i secoli. Ci sono tante testimonianze rabbiniche che lo confermano. Si tratta anzitutto di una preghiera giudaica prima che cristiana. Anche i cristiani però ne hanno fatto e ne fanno un grande uso nel tempo penitenziale della Quaresima, come appare dai cenni della liturgia.

            Il NT poi ha ereditato il messaggio biblico dell'amore misericordioso di Dio. Basti pensare in Luca e alle parabole della misericordia (Lc 15). La confessione del figliuol prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (Lc 15,18-19). Nella parabola del fariseo e del pubblicano, quest'ultimo prega: "O Dio, abbi pietà di me peccatore!" (Lc 18,13). Gesù perdona alla peccatrice perchè ha molto amato (Lc 7,47). Possiamo inoltre pensare alla presenza implicita di questo salmo in tutta la riflessione paolina sul peccato nella Lettera ai Romani.

            I grandi temi sviluppati dal salmo hanno il loro compimento nella rivelazione neotestamentaria: la misericordia di Dio, la purificazione dal peccato, la rivelazione della sapienza divina, la creazione nuova, il culto in spirito e verità.

            Gesù si inserisce in quella linea di spiritualizzazione del culto iniziata già dai profeti Isaia, Geremia, Ezechiele che senza rigettare il culto del tempio, insiste sulla dimensione interiore della religione. I cristiani devono rendere a Dio il culto per mezzo del sacrificio della loro vita che si trasforma in sacrificio spirituale e diventa liturgia della vita.

            Sono temi comuni al sal 51 e al NT che permettono una profonda lettura cristiana del salmo: l'umile confessione dei propri peccati da parte degli umili e dei cuori spezzati davanti al "Padre delle misericordie", rivelazione del "mistero", aspersione del battesimo che purifica, effusione dello Spirito Santo, creazione di un cuore nuovo capace di rendere a Dio un culto in spirito e verità per mezzo dell'offerta di sacrifici spirituali, uniti al sacrificio perfetto di Cristo.

           

4. Conclusione

            Molto opportunamente Martini propone di usare il sal 51 come "cammino di riconciliazione": è la preghiera dell'uomo di sempre, appartiene alla nostra storia. E invita a ripetere, prima di meditare su questo salmo la preghiera di Charles de Foucauld: "Grazie, mio Dio, per averci dato questa divina preghiera del Miserere. Questo Miserere che è la nostra preghiera quotidiana. Diciamo spesso questo salmo, facciamone spesso la nostra preghiera; esso racchiude, il compendio di ogni nostra preghiera: adorazione, amopre, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. Esso parte dalla considerazione di noi stessi e della vista dei nostri peccati e sale fino alla contemplazione di Dio, passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini".

            Dalla confessione che il salmista fa del suo peccato si può intravvedere il senso del peccato, come rottura, opposizione alla volontà di Dio che egli ha:

"Riconosco la mia colpa,

il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato,

quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;

perciò sei giusto quando parli,

retto nel tuo giudizio" (51,5-6).

            Il fatto che il peccato sta sempre davanti agli occhi del salmista mostra il profondo dispiacere che egli ne prova. Per cui egli si presenta davanti a Dio con un cuore spezzato e un animo contrito. C'è l'eco del profeta Gioele: "laceratevi il cuore e non le vesti" (Gl 2,13). Il rabbino Zolli aveva un'interessante interpretazione di quel "contro te solo". E diceva non è "tibi soli peccavi", cioè "ho peccato contro te solo, e non contro altri", ma "tibi solum peccavi", cioè "ho soltanto peccato contro di te, non ho fatto altro che peccare contro di te...":

"Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,

un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi" (51,19).

            L'orante è profondamente convinto che Dio è l'autore del perdono. Egli volge lo sguardo sull'umile che ha il cuore pentito. Il salmista ha un profondo senso di Dio, come di un Dio che è ricco di grazia e di misericordia e che vuole la salvezza del peccatore:

"Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;

nella tua grande bontà cancella il mio peccato.

Lavami da tutte le mie colpe,

mondami dal mio peccato (...).

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

Non respingermi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito" (51,3-4.12-13).

            Mi sembra di grande rilievo qui l'uso del verbo bara'/"crea". Geremia aveva parlato di un "nuovo patto" (Ger 31,31), ed Ezechiele di un "cuore nuovo" (Ez 36,26). Sono due temi confluiti nel Sal 51. Solo Dio può ridare al peccatore un cuore nuovo che sostituisca quello corrotto, violento e pieno di peccato. Un cuore nuovo che è legato al dono dello Spirito Santo, che apre alla novità del perdono, che è il garante di una rinnovata unione con Dio, frutto della conversione, e causa di vera e profonda gioia.

            Il salmista ha probabilmente imparato da Geremia e da Ezechiele che la purificazione e il rinnovamento sono opera di Dio, dono del suo Spirito. Il peccatore salvato dall'iniziativa gratuita di Dio, convertito al suo amore, sente il bisogno di rendere testimonianza di questa bontà e vuole che tutti i peccatori si convertano a Dio per cui la sua preghiera si trasforma alla fine in lode:

"Insegnerò agli erranti le tue vie

e i peccatori a te ritorneranno (...).

Signore, apri le mie labbra

e la mia bocca proclami la tua lode" (51,15.17).

            Il dono della conversione manifesta la sua efficacia trasformando il convertito in testimone. Testimonianza resa non soltanto dalle parole ma da una vita piena di fedeltà.

            E' utile, per concludere, un riferimento alla Lettera enciclica di Giovanni Paolo II "Dives in misericordia" che, pur non citando esplicitamente il nostro salmo, potrebbe essere considerata come una bella pagina di commento e di attualizzazione.