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     LA FEDE : STORIA DI DUE INCONTRI

la samaritana (Gv 4) e il giovane ricco (Mt 19, 16-22)

 

Vangelo secondo Giovanni cap. 4

 

1 Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni 2 - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, 3 lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4 Doveva perciò attraversare la Samaria. 5 Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». 8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11 Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». 13 Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». 15 «Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16 Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». 17 Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito"; 18 infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19 Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». 25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». 26 Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».

  27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». 28 La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». 30 Uscirono allora dalla città e andavano da lui.

31 Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32 Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33 E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». 34 Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.

39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. 41 Molti di più credettero per la sua parola 42 e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

 

3-4 “(Gesù) lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea ”. Gesù è in cammino con i discepoli (sale dalla Giudea in Galilea passando per la regione di Samaria) apparentemente per sfuggire ai Farisei - le controversie con i Farisei ed i Giudei in genere e il suo fuggire dai loro tentativi di arrestarlo sono tipiche del Vangelo giovanneo.

A un certo punto, stanco del viaggio, si ferma presso un pozzo (viene evidenziata l’umanità di Gesù il quale ha fame, ha sete, è stanco, si commuove dinanzi al cadavere dell’amico Lazzaro, ecc. che, in contrapposizione con la sua dichiarata divinità, è un’altra caratteristica del quarto Vangelo).

 

5 “Qui c’era il pozzo di Giacobbe”. Il pozzo in questione è il famoso pozzo situato nel terreno che il patriarca acquistò dopo l’incontro con Esaù e che diede a suo figlio Giuseppe. La località è Sicar o Sichem dove si svolge anche la famosa grande assemblea di Gs 24: qui Israele fu chiamato a rinnovare la sua promessa di fedeltà al Dio dell’Alleanza. Siamo, quindi, in un territorio carico di storia e di senso salvifico.

 

6 “Era verso mezzogiorno”: Giovanni è sempre puntuale nel situare le sue scene dal punto di vista geografico e temporale. Inoltre il mezzogiorno, il centro della giornata sembra voler evidenziare l’importanza dell’evento (a mezzogiorno Gesù sarà consegnato da Pilato ai Giudei per metterlo a morte (Gv 19,14-16).

 

7-9 “Arrivò intanto una donna ad attingere acqua” . Ancora una volta una donna stimola Gesù a un grande discorso così come una donna lo aveva costretto a compiere il primo grande miracolo dell’acqua trasformata in vino (Gv 2,3-5).

Questa non è una donna qualunque, è una donna che ha una storia particolare (non è da tutti aver avuto cinque mariti!), è una donna che va ad attingere acqua - essenziale per la sopravvivenza - in un’ora del giorno, per quella zona, abbastanza proibitiva: sicuramente faceva caldo. All’epoca non c’era l’acqua corrente e ogni donna andava, giornalmente, ad attingere acqua per lavarsi, cucinare, fare le abluzioni, ecc. ma sicuramente ci andava in un’ora più fresca, di primo mattino o al tramonto. Questa donna viene ad attingere acqua nell’ora più calda della giornata: sembra quasi che venga costretta da qualche evento; forse aveva passato una notte insonne. Anche lo scenario, visivamente, si presenta come piuttosto desolato: caldo, sete, i discepoli che sono andati via, Gesù e la donna soli.

 

10-14 “Se tu conoscessi il dono di Dio”. Due persone che non sanno niente l’una dell’altra, se non di appartenere a due popoli da secoli in conflitto, cominciano a conoscersi. Il primo passo lo compie Gesù[1] con un’affermazione che lascia perplessa la donna: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva.”

La donna, sicuramente una persona molto pratica, obietta che il suo interlocutore non ha un mezzo per attingere acqua e, pensando forse di avere davanti a sé una persona non proprio sana di mente, pone delle obiezioni di carattere religioso al giudeo che le si trova davanti: “Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe?”.

C’è un senso di disprezzo nelle parole della donna, quasi a voler rivendicare la sua fierezza di appartenere al popolo Samaritano in contrapposizione ai Giudei. Ma Gesù non scende allo stesso livello della discussione - anche se successivamente dirà che la salvezza viene dai Giudei (4,22) - piuttosto ne eleva il tono promettendo, addirittura, un’acqua che toglie la sete per sempre.

 

  15 “Signore, dammi di quest’acqua”. Adesso alla donna non interessa più se il suo interlocutore è Giudeo o Samaritano, se è pazzo o sano di mente, a lei interessa quest’acqua particolare per non venire sempre ad attingerne con grande fatica, come abbiamo visto[2].

Il pensiero va subito alla Legge e alla Grazia, alla vecchia e alla nuova Alleanza, a quella fatta di prescrizioni e di ritualità e a quella incentrata sulla misericordia gratuita di Dio che, in Gesù Cristo, si fa acqua viva per ogni uomo (qui c’è sicuramente un riferimento al Battesimo). Ogni giorno, l’uomo schiavo della Legge, è tenuto ad osservarne tutte le prescrizioni senza, però, trovare la pace perfetta: più è osservante, più sente di doverlo essere, più si sente migliore degli altri (Lc 18,9-14) e più ha bisogno di rimanere in questo “cerchio di morte” per sentirsi vivo.

Quello che, invece, promette Gesù è veramente una vita nuova, un modo nuovo di adempiere i precetti dell’Alleanza, uno sguardo nuovo gettato sulla eterna condizione dell’uomo di sentirsi sottomesso alla divinità alla stregua di uno schiavo (in tutto il Vangelo ci sono binomi come schiavitù-libertà, luce-tenebra, menzogna-verità, ecc.). Gesù comincia a presentarsi alla donna come il Messia, non come lo intende lei, ma come colui che svelerà al mondo il vero volto di Dio (Gv 14,8-11).

 

16-20 “Va’ a chiamare tuo marito”. Ora anche la donna si svela, anzi, si lascia svelare da Gesù che la conosce bene. Si può dire che si lascia denudare, mettere a nudo nel profondo: ora il dialogo non è più alla pari, tra un uomo giudeo e una donna samaritana, ma è il dialogo tra Dio e l’uomo, tra la Verità e il desiderio della Verità, tra Colui che guarisce e colei che vuole essere guarita.

Questa scena ricorda molto altre scene di incontri dei Sinottici (Il giovane ricco, Zaccheo, l’emorroissa, Giairo, la donna cananea, ecc.) e, forse, è uno dei brani giovannei che più hanno riferimento con gli altri evangelisti. Per certi aspetti si respira la stessa aria, anche se qui la divinità di Gesù è più palese e il dialogo più lungo. Quando la donna si sente conosciuta - “Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” - si arrende e compie il primo atto di fede nel riconoscere l’uomo che le sta di fronte come un profeta[3].

 

21-25 “E’ giunto il momento in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. Siamo al punto culminante di tutto il racconto: nella polemica sui luoghi dove bisogna andare per adorare il Dio vivente, il Nazareno, interprete e coautore della volontà del Padre (questo in Gv è messo molto bene in evidenza) cambia completamente marcia, mette la quinta, diremmo oggi, e va alla sostanza della questione: da oggi in poi, Dio non si adorerà né a Gerusalemme né sul monte Garizim, né in nessun altro luogo circoscritto, ma in Spirito e verità. Dio è Spirito, è trascendente, è il Totalmente Altro, è Colui che i cieli dei cieli non possono racchiudere e se, fino ad oggi, ha lasciato che gli uomini lo adorassero in templi e sinagoghe, ora è giunto il momento di adorarlo nella verità, perché la verità si è fatta carne nella persona di Gesù di Nazareth.

Oggi la samaritana può vedere il vero volto di Dio e rimanere viva. Oggi, come a Mosè, Jahvè parla ad ogni uomo faccia a faccia. Oggi il tempio, l’altare,  l’olocausto, la vittima, il sacrificio, i sacerdoti terreni, non hanno più senso perché il Figlio, l’Unto, Colui che era e che è presso il Padre fin dall’eternità, è diventato tempio, altare, olocausto, vittima, sacrificio e sacerdote eterno. Nella persona del Nazareno tutto viene ricapitolato, anche il senso del culto a Dio.

In definitiva, il cristiano dovunque si trovi può celebrare il culto, il sacerdote può dire messa anche sul palmo della mano, nella cabina di un aereo o nelle profondità di una grotta in India.

La donna ha un ultimo sussulto religioso con una risposta che sembra quasi una domanda: “So che deve venire il Messia”. Pare volersi giustificare di fronte ad affermazioni così perentorie e, apparentemente, rimproverevoli. E’ come se volesse riconoscere che quello che Gesù dice fa parte dell’opera del Messia che lei, come ogni Giudeo e Samaritano, attende. Non ha ancora capito appieno con chi ha a che fare.

 

26  “Sono io, che ti parlo!”. Finalmente Gesù si svela completamente (l’autorivelazione è un’altra caratteristica del Vangelo giovanneo). Non c’è più bisogno di attendere il Messia perché è venuto ed è Colui che ora parla con la donna, faccia a faccia. Il Regno di Dio è in mezzo a noi, non c’è bisogno di aspettare ancora: bisogna solo decidersi per esso.

 

27-38 “In quel momento giunsero i suoi discepoli .....”. Cambio di scena[4]: i discepoli, completamente assenti fino ad ora, tornano dalle compere mentre la donna, lasciata la brocca - un elemento indispensabile per la sua sopravvivenza: ricorda un po’ il mantello del cieco di Gerico (Mt 10,50) - corre in città ad annunciare alla gente quello che le era capitato.

I discepoli, ancora una volta, manifestano la loro inintelligenza di fronte alle parole di Gesù quando, alla loro richiesta di mangiare, il Maestro risponde che ha da mangiare un cibo che loro non conoscono, al che essi si chiedono se qualcun altro gli ha portato da mangiare. In parte è vero, Gesù ha mangiato ma non il cibo che intendono loro, ha mangiato dell’incontro con la donna, ha mangiato della sua volontà di salvarsi, si è cibato delle sue ferite, della sua sofferenza di una vita senza senso, chiusa in pratiche ritualistiche e avvinghiata dai peccati come una mosca in una ragnatela.

E ne approfitta per fare un discorso sulla missione, su quello che i discepoli dovranno fare nella  vita per adempiere alla loro vocazione.

  

    39-42 “Molti samaritani credettero in lui”. All’annuncio della donna, per le sue parole, i suoi concittadini furono sollecitati a muoversi per andare a conoscere quest’uomo straordinario che le aveva detto tutto quello che aveva fatto. Ma molti di più credettero per la parola stessa di Gesù, il quale si fermò due giorni con loro (fatto scandaloso per un giudeo che, solo a nominare un samaritano, si sentiva impuro). Credere all’apostolo, al catechista è gran bella cosa, ma quello che ci cambia la vita è l’incontro reale con Gesù Cristo. Gli altri sono solo dei mezzi per arrivare a Lui.

 

 

 

 

 

 

 

Analizziamo ora quest’altro incontro riportato dall’apostolo Matteo nel suo vangelo:

 

Vangelo secondo Matteo cap. 19, 16-22[5]

 

16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

16a “Un tale...” Per prima cosa notiamo che l’altro protagonista dell’incontro è un perfetto sconosciuto: un tale. Questo aggettivo, infatti, indica una persona o cosa indeterminata. Per il momento il nostro soggetto non ha un nome, né un’età, né una professione o condizione sociale: sappiamo solo che è di genere maschile.

 

16b “Maestro, che cosa devo fare...” Sappiamo per certo che questo tale conosceva Gesù, almeno di fama: infatti lo chiama Maestro (in ebraico Rabbì). Prima di tutto notiamo che nei vangeli Gesù viene chiamato maestro da chi ne conosce l’autorità per sentito dire (i farisei, i sadducei e gli altri dottori della Legge - cfr. Mt 8, 19. 12, 38. 22, 15-16; Mc 4, 38. 9, 5; Lc 5, 5. 7, 39-40. 8, 22-24; ecc.) e da chi ne riconosce l’autorità per bisogno (il padre dell’indemoniato - Mc 9, 17 segg. - i dieci lebbrosi - Lc 17, 11-13 - ecc.). Le parole conoscere e riconoscere sono sostanzialmente diverse tra loro: la seconda vuol dire che la cosa o la persona conosciuta è anche accettata, mentre la prima no: anche il diavolo conosce Dio ma non lo accetta quale Signore. È interessante il confronto con Is 30, 19-20 (Popolo di Sion che abiti in Gerusalemme, tu non dovrai più piangere; a un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della tribolazione, tuttavia non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro): qui la parola maestro viene usata esplicitamente in rapporto al Signore come colui che risponde alle richieste del popolo. Colui che gli indicherà la via della salvezza.

I due racconti paralleli, riferiti da Luca e Marco, aggiungono l’aggettivo buono a Maestro mentre Matteo lo pone dopo la parola fare. Non credo ci sia contrapposizione in quanto se il Maestro è buono darà sicuramente dei consigli buoni e se risponde alla domanda che cosa devo fare di buono dando una risposta buona vuol dire che è anche un Maestro buono.

Cosa chiede il tale? La vita eterna (e scusate se è poco); la chiede, però,  come se fosse un diritto, una ricompensa alle sue buone azioni. Era molto diffusa, in Israele, la mentalità che Dio ricompensava l’uomo in base alle sue opere: ad ogni azione corrispondeva una risposta di Jahvè, sia nel bene che nel male. Infatti gli storpi, i ciechi, gli handicappati in genere erano considerati uomini o donne che si trovavano in tali condizioni perché avevano commesso delle cattive azioni o, se lo erano dalla nascita, era a causa dei peccati commessi dai loro genitori (cfr. Gv 9, 1-2). Quindi il nostro amico chiede la ricetta per la vita eterna.

 

17 “Egli rispose...” Gesù comincia subito a porre dei paletti sul senso di buono e chiarisce che uno solo è buono. Questo termine lo ritroviamo molte volte nella Bibbia riferito sia alle azioni che l’uomo commette in conformità ai comandamenti divini, sia a Dio stesso che è origine di ogni bontà. Soprattutto nel libro dei Salmi la parola buono è riferita esclusivamente a Jahvè (cfr. Sal 25, 8; 34, 9; 52, 11; 54, 8 ecc.). Essere buono è prerogativa di Dio; nessuno può esserlo come Lui in quanto l’azione del peccato comunque inquina la nostra umanità anche se possiamo commettere le migliori azioni di questo mondo. Dio è buono in quanto è, noi possiamo solo diventarlo, nella misura in cui Lui ce ne dà le capacità e nella misura in cui noi siamo capaci di accogliere la sua azione di grazia.

Proprio per questo Gesù fa riferimento ai comandamenti: se vuoi essere buono devi seguire la Legge !

 

18a “Ed egli chiese: Quali?” C’è un’insistenza da parte del tale che quasi innervosisce. Lui sa bene quali sono i comandamenti; da ebreo non può ignorarli perché fin dalla sua nascita è stato educato nell’osservanza della Legge. Sua madre, prima, e i suoi educatori, poi, non hanno lasciato passare un solo giorno senza parlagli delle opere che Dio ha compiuto nella storia d’Israele iniziando dalla proclamazione dei dieci comandamenti sul monte Sinai per bocca di Mosè (cfr. Dt 6, 4-9).

 

18b “Gesù rispose...” Pazientemente Gesù glieli ricorda omettendo, però, i primi tre che sono quelli, per così dire, orizzontali, che trattano, cioè, del rapporto tra l’uomo e Dio, mentre gli altri sette riguardano la civile convivenza tra l’uomo e il suo prossimo.

 

20 “Il giovane gli disse...” Come nella stampa di un negativo, cominciano a delinearsi i contorni di questo sconosciuto: è sicuramente una persona che ha stima di se stesso (parla con Gesù in modo affatto sottomesso, come rileviamo, invece, dai dialoghi con i peccatori o con i malati); fa finta di non capire le parole del Maestro; scopriamo, adesso, che è giovane e che, a conferma della sua presunzione, ha sempre osservato i comandamenti che Gesù gli ha appena ricordato. Potremmo pensare che non gli manca niente; eppure ha paura della morte: vuole la vita eterna!

 

21 “Se vuoi essere perfetto...” Il Maestro capisce che quest’uomo vuole la perfezione; e non è una richiesta assurda. Lui stesso, al cap. 5 dello stesso vangelo, dice: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.(Mt 5, 48) La richiesta del giovane, dunque, non è irrealizzabile: Dio ci chiama alla perfezione. Ci invita ad entrare a tal punto in comunione con Lui da volerci donare la sua essenza interamente: la perfezione, la bontà, l’amore.

Ma per fare questo occorrono due cose: 1) il distacco dalle ricchezze condividendole con i poveri; 2) seguire Gesù senza remore e senza ripensamenti (cfr. Lc 9, 62)

 

22 “Udito questo il giovane se ne andò triste...” Questa volta la risposta del Maestro ha lasciato il segno. Il giovane non ha più il coraggio di replicare perché è stato colpito nel suo bene più caro: la ricchezza. Lui crede di osservare i comandamenti e Gesù gli ha svelato la verità. Non è possibile amare Dio se si ama il denaro: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona.” (Lc 16, 13). Per questo il Maestro ha omesso i primi tre comandamenti che sono racchiusi nell’unico grande comandamento mosaico: Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno; amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze (Dt 6, 4-5). Non è possibile, quindi, amare il prossimo se non si ama Dio!

Quindi, questo tale che abbiamo scoperto giovane e ricco, se ne va triste. Altro che la vita eterna! Non sappiamo che fine abbia fatto, ma certamente, da quel momento, la sua presunta bontà ha avuto un forte scossone.

 

 

 

 

Ecco, così, raccontati e analizzati brevemente due incontri riportati da Giovanni e da Matteo.

Gli attori sono tre: Gesù, da una parte, e la samaritana e il giovane ricco, dall’altra. I secondi due sono molto diversi tra loro: una donna e un uomo, una peccatrice e uno che si crede giusto; una povera e un ricco.

Il primo incontro è stato casuale, il secondo cercato. La samaritana ignora chi sia il suo interlocutore mentre il giovane lo conosce bene (o almeno crede). La donna sembra che non abbia bisogno di Gesù, l’uomo sì.

Nel primo racconto il dialogo si svolge in modo intimo e solitario, nel secondo tutto ci fa pensare che siano state presenti altre persone (i discepoli - cfr. Mt 19, 23 segg.).

Il modo di accostarsi a Gesù è completamente diverso: la samaritana è dapprima indifferente, poi dubbiosa, quindi sconcertata e, alla fine, entusiasta. Il giovane, invece, all’inizio mostra una grande sicurezza di sé e si rivolge al Maestro con ostentata presunzione; poi, alle domande di Gesù, cerca di giustificarsi e, infine, se ne va deluso perché non ha avuto la risposta che voleva.

Anche l’effetto dell’incontro è diverso: nella samaritana crea gioia e voglia di diffondere quello che ha scoperto, mentre nel giovane provoca tristezza. La donna scopre quello che può riempirle la vita; l’uomo, invece, scopre che la sua vita è piena di illusioni.

Gesù getta un raggio di luce sull’esistenza della samaritana mentre oscura la presunta luce del giovane ricco. Entrambe sono rivelazioni della Verità, ma, mentre per l’una costituisce annuncio di salvezza, per l’altro è fonte di tristezza.

È il modo con cui la verità viene accolta che è diverso. Per la samaritana c’è un cammino ascendente: da una vita squallida, piena di delusioni e rimpianti a una visione nuova dell’esistenza, la realizzazione di una promessa per cui tutto assume una dimensione diversa: nel perdono e nell’accoglienza del Maestro le si apre la speranza di una vita nuova. Per il giovane ricco, invece, il cammino è discendente: da un’esistenza perfetta vissuta nell’illusione dell’osservanza della Legge alla visione della menzogna che riempie la sua vita, della sua incapacità ad amare, della sua completa dipendenza dai beni terreni.

La donna scopre la vita eterna perché la sua vita terrena non ha senso; l’uomo scopre che la sua esistenza terrena non può portarlo alla vita eterna.

Questi due incontri sono altrettanto modelli per i nostri incontri col Cristo; non è difficile ritrovarci nell’uno o nell’altro.

La fede nasce dall’incontro, nasce dal modo con cui si cerca e si vive l’incontro: sentendosi come la samaritana si ha la possibilità di scoprire il perdono e la riconciliazione col Padre; vivendo come il giovane ricco si può scoprire che la morte e la risurrezione del Figlio di Dio non hanno avuto alcun senso per noi, e mai ne avranno. In Abramo nasce la fede alla luce di una chiamata e di una promessa; così pure in Maria. Entrambi accolgono l’annuncio con cuore aperto; sono in attesa di qualcosa di grande: un figlio e la terra promessa per Abramo, diventare madre dell’Altissimo per Maria. Entrambi si mettono in cammino: il patriarca lascia la sua casa paterna per andare verso un luogo che non conosce, la Vergine lascia la sua casa paterna per andare dalla cugina Elisabetta verso un'esperienza a dir poco assurda, ma carica di santità (cfr. Lc 1, 39-58).

Dio cerca la samaritana e il giovane, allo stesso modo: in tutt’e due i racconti Gesù si reca al luogo dell’appuntamento. Dipende dalla nostra disposizione d’animo se la lieta novella può avere effetto o no. il Figlio dell’Altissimo è venuto per tutti, ricchi o poveri, santi o peccatori, ma quanto più ci si crede santi o ricchi, tanto più la sua venuta è  inutile. Con la nostra arroganza siamo capaci di legare le mani all’Onnipotente!

Dio ci conosce per come siamo realmente e la sua Parola non ha altro scopo che ricondurci a Lui. Lui sa bene che la nostra vita non ha senso senza la sua presenza. Lui sa bene che non siamo capaci di amare, perciò ci ha amati per primo. Lui sa bene che siamo schiavi della nostra lussuria, della nostra cupidigia, del nostro sfrenato attaccamento ai beni terreni, perciò si è donato completamente a noi. Lui sa bene che non siamo capaci di salire al Cielo, perciò è sceso sulla Terra.

La fede è anche il momento in cui la Verità ci rivela le nostre menzogne! E se non siamo pronti ad accoglierla possiamo anche rifiutarla, gettarla via come un dono sgradito. Solo allora ci accorgeremo di quel che abbiamo perso; solo allora, nel chiuso della nostra intimità, ci renderemo conto di aver detto no alla cosa più bella che ci sia mai stata proposta. Solo allora capiremo che la perla preziosa, il tesoro nascosto ci è sfuggito di mano.

Può darsi che il giovane ricco si sia ritrovato sotto la croce e abbia capito la lezione; forse è stato tra i primi discepoli degli apostoli; magari sarà morto martire in una delle tante persecuzioni del primo secolo; chissà ....... Una cosa è certa: da quel giorno la sua vita non è stata più la stessa perché ha incontrato, nel suo cammino, la prima persona che lo abbia amato veramente (cfr. Mc 10, 21) dicendogli la verità sul senso della sua esistenza. Se fino a poco prima si era illuso di condurre una vita esemplare, dopo l’incontro le sue illusioni sono cadute ma, allo stesso tempo, ha capito che se avesse voluto, la sua vita sarebbe potuto cambiare. Da quel momento era tutto nelle sue mani!

 

Concludiamo soffermandoci su alcuni personaggi che abbelliscono il nostro presepe ma che sono molto di più di statuette di terracotta: i pastori. Questi uomini si trovavano per caso nei pressi del luogo dove nasce il Figlio di Dio. Non facevano altro che il loro lavoro di ogni giorno: pascolare il gregge. Nella loro vita squallida e monotona irrompe un fatto sconvolgente: una miriade di angeli annuncia loro la nascita del Salvatore! Perché ai pastori e non ad altri? Perché Erode rifiuta l’annuncio dei Magi tanto che la Stella sparisce nel cielo di Gerusalemme? Riusciamo a vedere, nei pastori e nel re, qualcuno che conosciamo bene? Erode non è come il giovane ricco, presuntuoso, arrogante, che non ha bisogno di salvezza? E i pastori non sono come la samaritana, poveri, emarginati,  schiacciati da una vita che aveva offerto loro solo sterco di pecore e vagabondaggio?

Ecco: Gesù si rivela ai piccoli e ai poveri, e a loro cambia la vita. Per il giovane ricco ed Erode, invece, non rimane altro che la tristezza di aver solo visto passare l’amore eterno del Padre senza riuscire a coglierlo.

Echeggiano le parole di Abramo ai tre angeli che vanno a trovarlo sotto la quercia di Mamre: Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo (Gen 18, 3).



[1] Nei grandi racconti degli incontri (sia negli scritti giovannei sia nei Sinottici) è sempre Gesù a prendere l’iniziativa e a dare un significato soteriologico a tutto il dialogo.

 

[2] Qui l’acqua non viene trasformata in vino, come alle nozze di Cana, ma resa sostanza sublime che va al di là della sua specificità di materia liquida per assurgere a dimensione soteriologica.

 

[3] In Giovanni la parola profeta non viene riferito a qualunque persona che se ne andava per la Palestina annunciando il Regno di Dio senza dare alcuna garanzia sulla sua validità, ma a colui che veramente è mandato da Dio,  parla in nome di Dio e compie le opere di Dio (cfr. Gv 9 in particolare 9,17)

 

[4] Tutto il quarto Vangelo è composto da grosse scene drammatiche con molti personaggi, dialoghi intensi, momenti carichi di tensione e repentini cambi di situazioni.

 

[5] Cfr. Mc 10, 17-22 e Lc 18, 18-23.